Il paese del calcio (dei kaki)

Reti calcio

 

Il calcio sì il calcio no

nei campi o nel hulo

il calcio sì il calcio no

ma è quello di un mulo.

Il calcio sì il calcio no

tu cosa ne pensi?

Secondo me c’han solo paura

de perder consensi.

Così alla faccia

di tutte quelle dichiarazioni

si hagan sotto e fan marcia indietro

come dei hoglioni.

Il calcio sì il calcio no

finirà l’astinenza

perché il paese si sa del calcio

non può fare senza.

Il calcio sì il calcio no

ormai è storia antica

si sa che il calcio qui da noi

tira più della.. biga.

E risalendo a tempi addietro

al buon Giovenale

se blocchi il calcio qui in Italia

te puoi fare male.

Il calcio sì il calcio no

riprendono i giochi

che gli altri sport da noi si sa

son solo per in pochi,

se dal popolino tu vuoi

avere il consense

tu come sempre je devi de da

solo panem et circense.

Il calcio sì

il calcio no

il calcio….

bohhhhhhhhhhhh

 

 

Chiedo scusa per l’uso improprio dfella lettera h (toscana) e per le scurrulità nascoste ma.. come si dice

quando ce vo’ ce vo’

Storie di quasi storia insomma favole 2

Enzo Jannacci

Una canzone quando capita.

operaie-della-siemens

 

Vincenzina e la fabbrica

 

Quante Vincenzine hanno varcato i cancelli di migliaia di fabbriche, quante vi hanno trascorso una vita intera, piegare su telai o su specole, giorno su giorno a volte persino la domenica, senza conoscere riposo e senza ferie, quante sono entrate in quelle fabbriche ancora bambine con gli zoccoli ai piedi magari dovendosi alzare alle 4 o alle 5 del mattino per raggiungere a piedi le fabbrica distante chilometri, con le scarpe in o gli zoccoli in mano, per non consumarli e ripetere il percorso inverso giorno dopo giorno col sole la pioggia la neve il gelo in un tempo infinito che non cessava mai di essere uguale..

 

Vincenzina davanti la fabbrica

Vincenzina il foulard non si mette più…

 

Ci sono state anche altre transumanze meno appariscenti, invisibili quasi nascoste di pochi km da nord a nord, dalle campagne alla fabbrica, dalla schiavitù alla tirannia, e si perché a quei tempi non è che le cose cambiassero di molto, ma era necessità del paese per la ricostruzione, della povera gente per arricchire, no non siamo ridicoli, solo per portare qualche cosa in tavola, ad arricchire erano comunque sempre gli altri, quelli che i soldi li aveva già da prima. Qui il processo era iniziato da tempo, quasi in concomitanza con lo scoppio della prima guerra mondiale, le filature e le tessiture avevano bisogno di mano d’opera e i contadini di soldi. E sì perché i contadini lavoravano la terra e per lavorare la terra avevano bisogno di braccia e per avere delle braccia facevano figli, per questo le famiglie erano molto numerose e occorreva molto per mantenerle, e poi c’era un problema, la terra, quella terra che lavoravano, mica era loro era del “padrone”. La terra da sempre apparteneva a pochi privilegiati, i latifondisti, privilegiati che non si sognavano nemmeno di occuparsene, non assumevano dipendenti per lavorarla, coltivarla o adibirla a pascolo, nossignori, loro la “affittavano” ai contadini pretendendo in cambio una percentuale sul raccolto e sull’allevamento, la maggior parte quasi sempre e ai contadini rimaneva ben poco, considerando anche che parte di quel poco finiva per riempire la dispensa del curato di turno. Fatto sta che la migrazione dalla campagna alle città, dall’agricoltura alla fabbrica avvenne come un fatto naturale, e iniziarono dalle proprio le donne quelle che nei campi davano meno supporto vennero inviate dalle famiglie a lavorare nelle fabbriche per avere anche quel sostengo che avrebbe permesso alla famiglia di sopravvivere, dal lunedì al sabato, per 10, 12 ore al giorno poi la domenica tornavano nei campi, e abbandonarono il foulard utile per tenere raccolti i capelli nei campi, ma fastidioso in fabbrica. Era iniziato il cambiamento dalla campagna alla città dalla chiesa al sindacato, dall’era contadina a quella industriale, stava per iniziare il boom economico, si fa per dire…

 

Vincenzina vuol bene alla fabbrica

e non sa che la vita giù in fabbrica

non c’è e se c’è dové

lalalà, lalalà, lalalà lala là

 

 

Storie di quasi storia insomma favole.

 

ENZO JANNACCI

Una canzone quando capita.

Nazional popolare.

Enzo Jannacci non era solo un cantante, un cantautore, uno show man, no, Enzo Jannacci era anche un narratore, nelle sue canzoni raccontava con aria stralunata e una sottile ironia di quell’Italia del boom economico, quell’Italia uscita dalla guerra e ancora con le pezze al culo, che molti si rifiutavano di vedere ne tanto meno di raccontare. Così riempiva le sue canzoni di malinconia di sfaccettature di vita anonima, dimenticata, con grande amore e sagacia e raccontava quella storia di serie “b” che molti, tutti si rifiutavano di raccontare. Proprio per questo il “nazional popolare” che non vuole essere una definizione riduttiva ma un elogio alla sua grande capacità di saper cogliere emozioni di vita nelle strade, fra la gente, nei fatti di tutti i giorni il più delle volte ignorate.

27-Naja-arcRCS_MGZOOM

 

 

Soldato Nencini

Soldato Nencini, soldato d’Italia

semianalfabeta, schedato: “terrone”,

l’han messo a Alessandria perché c’è più nebbia...

 

L’inizio di una storia banale ironica come tutte le sue canzoni, ma carica di tristezza e malinconia ma poi… siamo sicuri che sia proprio così “banale”?

 

L’Italia era appena uscita uscita da una guerra disastrosa, a voler considerare bene le cose da due guerre disastrose, la prima che aveva cancellato buona parte della popolazione maschile del paese, la seconda dopo alcune campagne coloniali non proprio esaltanti, aveva provveduto a dare il colpo di grazia ad un paese già in difficoltà, piegandolo sulle ginocchia. Da poco era iniziata la faticosa ricostruzione, il nord si stava risollevando, fabbriche cantieri sorgevano un po’ ovunque, il sud però come sempre, a causa delle pessime gestioni, sia precedenti che quelle di quegli anni arrancava faticosamente. I politici se ne resero conto, occorreva fare qualche cosa, e giunsero alla brillante soluzione, investire nella ricostruzione e nell’ammodernamento di quelle parte del paese?

No e quando mai, ci volevano i soldi e i soldi servivano a loro, quindi? Soluzione lapalissiana, spedire al nord per il servizio militare i giovani del sud, così avrebbero cominciato ad ambientarsi conoscere i posti, vedere le opportunità che offrivano e poi tornarci finita la ferma per cercare lavoro, e spedire i giovani del nord al sud, beh qui le ragioni erano piuttosto nebulose o di semplice necessità, considerando il fatto che fatto che al nord non c’era più posto e poi avrebbero potuto tornarci in un lontano futuro magari come turisti (più tardi avrebbero operato con lo stesso metodo anche con i dipendenti pubblici ma con una direzione a senso unico). L’operazione riuscì secondo l’opinione di alcuni, meno secondo le opinioni di altri e di certo non servì a risollevare il sud dalle sue precarie condizioni. Sta di fatto che dopo alcuni anni le migrazioni da nord a sud presero proporzioni gigantesche, i posti di lavoro disponibili nelle fabbriche, la richiesta di mano d’opera, il sogno di una vita migliore, spinse molti meridionali a prendere la via del nord, privando il sud di quei lavoratori che ben indirizzati avrebbero potuto dare un contributo notevole alla crescita di quelle regioni. Fu così che iniziò una transumanza a senso unico dal sud al nord, come un gregge in movimento continuo, solo che ad accompagnarne e a dirigere il gregge non c’erano cani da pastore, ma bensì lupi, travestiti da agnelli. Beh se vogliano essere onesti qualche buon cane da pastore a accompagnare quel gregge c’è anche stato. Ha invaso il mondo con le sua macchine da scrivere e la sua industria era un fiore all’occhiello del paese un esempio al mondo per efficienza e tecnologia ma non solo, anche di uguaglianza, umanità e democrazia. Ma, hai detto era, poi cose è successo? La storia la conoscete tutti poi…  poi è arrivato l’ingegnere. Uno dei lupi? No, un parente prossimo della famiglia degli sciacalli

Soldato Nencini, soldato d’Italia

 

 

Chiedo umilmente scusa ai canidi e agli ovini per l’irriverente accostamento.